la piscina di siloe
LE PALME!

Ecco, a te viene il tuo Re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma. Gerusalemme, accogli il tuo Re. Egli entra per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione.
Anche noi uniamoci innanzitutto ai discepoli e poniamo i nostri mantelli sull’asina e sul puledro su cui siederà il maestro. Ed ancora uniamoci anche alla folla e stendiamo i nostri mantelli e i rami tagliati degli alberi sulla strada che deve percorrere Gesù, il Re, e intanto cantiamo: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!
Lui viene umile e mite, non porta violenza ma pace e a coloro che lo acclamano Re alla maniera di Davide, mostrerà ben presto la sua corona, il suo trono, il suo regno: la corona di spine, il trono di croce, il regno quello del Padre.
La folla lo segue e Gesù segue la folla. La folla lo segue perché in lui cerca il potere, la gloria, la vittoria alla maniera umana. Gesù segue la folla su quell’asino per indicare che solo nell’ubbidienza alla volontà del Padre vi è l’esaltazione, la risurrezione.
Tutto poniamo sotto la cura del Re mite che viene a noi. Ogni nostra scelta ed ogni nostra preoccupazione nel segno dei mantelli stendiamo e lasciamo che lui, il Re mite, vi passi sopra. Ogni nostra vittoria ed ogni nostro fallimento, mentre cantiamo Osanna al Figlio di Davide, doniamo a colui che ci ricambierà con il dono di se stesso.
Il nostro maestro, colui che ci ha indicato, nel tempo della quaresima, il pane di cui nutrirci mostrandoci la sua gloria, colui che ha aspettato la donna al pozzo ed ha aperto gli occhi al cieco, colui che ha chiamato Lazzaro dal buio del sepolcro, oggi, entrando a Gerusalemme mentre viene proclamato Re dal canto dei giudei, seduto su quell’asina interpella il nostro cuore: Chi sono io per te?
Non è forse questa la domanda che la folla, presa da agitazione, diceva: Chi è costui?
Chi è costui?
Una domanda questa che la Gerusalemme si era già posta quando il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi si è incarnato: chi è il bambino che è nato? Ed adesso la stessa Gerusalemme in agitazione si chiede: Chi è questo uomo che cavalca un asino da Re?
Quella domanda, chi è costui? Deve risuonare forte alle nostre orecchie, deve giungere al nostro cuore ed è necessario una risposta urgente, una risposta che coinvolga tutta la vita, altrimenti, con tutta la folla di Gerusalemme, oggi lo acclamiamo e lo facciamo Re e dopo qualche giorno lo mettiamo in croce e gridiamo con la stessa forza con cui lo abbiamo acclamato re, crocifiggilo, crocifiggilo.
Chi è costui?
L’Apostolo Paolo scrivendo ai filippesi lo indica come chi non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Nel giardino degli ulivi Gesù cadde con la faccia a terra e prega: Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!
E in quella notte Gesù si consegna al prezzo di trenta monete, si lascia baciare dall’amico, lascia che gli mettono le mani addosso e che lo arrestano. Tutto precipita. Quell’ingresso tanto solenne si trasforma in debolezza e, colui che era acclamato Re adesso, nella notte è condotto dal sommo sacerdote Caifa per essere giudicato e al mattino dinanzi al governatore romano per rispondere della sua regalità.
Dinanzi a tutto questo possiamo rimanere spettatori e riviverlo, anche commuovendoci stando seduti su poltrone comode, magari in una chiesa, o in piedi, in una piazza, dinanzi ad una drammatizzazione, in cui tutto è gioco, non è realtà e quindi non coinvolge il nostro cuore.
Penso invece che ciascuno è chiamato a vivere e a fare memoria nella sua vita dell’esperienza di Pietro, del suo rinnegare Gesù, davanti ad una donna, anzi dinanzi ad una serva dire: non conosco quell’uomo. L’esperienza di Pietro è la nostra quotidiana esperienza ogni volta che scegliamo di vivere secondo la mentalità del mondo. Ma dobbiamo prendere coscienza del nostro tradire e, oserei dire che solo il pianto amaro per aver tradito colui che serve, colui che ama, ci permette di uscire fuori da noi stessi, dalle nostre certezze e abbandonarci all’uomo delle Beatitudini.
Crocifiggilo, crocifiggilo è il grido dell’uomo che nel suo vivere quotidiano si fa promotore della violenza e della guerra.
Crocifiggilo, crocifiggilo è il grido dell’uomo che nel suo legiferare si fa promotore della morte.
Crocifiggilo, crocifiggilo è il grido di tutti noi ogni volta che, con indifferenza, lasciamo passare quel Gesù che cavalca l’asino rimanendo fermi all’osservanza di una legge sterile e farisaica.
Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato. È il grido che Gesù rivolge al Padre dall’alto della croce portando con sé tutto il peso del peccato dell’uomo, di ogni uomo. Ma in quel grido e in quell’abbassarsi facendosi innalzare nella croce Dio, il Padre, lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra,e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato. È il grido che Gesù rivolge dall’alto della croce a ciascuno di noi ogni volta che alla sua sete gli porgiamo dell’aceto e incoroniamo il suo amore con delle spine.
E all’inizio della settimana santa con coraggio sciogliamo il nostro asino, così S. Francesco amava chiamare il suo corpo, e conduciamolo a Gesù perché con Lui, passando per il giardino degli ulivi e dal monte del Golgota giunga alla Gerusalemme celeste.

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